Il tappeto anatolico

 

Il Tappeto anatolico nel XIII e nel XIV secolo

Sappiamo che un ramo dei Selgiuchidi si stabilì in Asia Minore ed un altro in Persia. Non è facile stabilire con certezza se le tribù nomadi che si portarono nei nuovi territori occupati pervennero prima in Anatolia o seguirono le truppe installatesi in Persia, e nelle mani di quali popolazioni abbiano consegnato, con i loro manufatti, le tecniche di lavorazione per una più larga produzione, seppure a carattere ancora artigianale.
L'ambiente dell'Asia Minore - secondo la ricordata testimonianza di Marco Polo - sembra, invero, già bene informato sul tappeto annodato; il che fa ritenere che sia stato il ramo anatolico a precedere quello persiano. Si ha notizia, peraltro, da fonti scritte arabe (Abu el Fida, lbn Batuta) che tappeti turchi, nel corso del XIII e parte del XIV secolo, venivano esportati in Persia, in Egitto, in Siria, in Irak e perfino in India, in Cina e in altre parti del mondo.

In realtà oltre ai tappeti e ai frammenti di Konya e di Beyshehir e ai frammenti poi rinvenuti ad al-Fostat, riconducibili alla stessa epoca, per tutto il XIII secolo e per un lungo periodo ancora, non ci rimangono altri manufatti annodati, salvo un paio di eccezioni di cui diremo. Ma i ritrovamenti nella Moschea di Ala-el-Din (1220), a Konya, e quelli nella Moschea
Eshrefoglu (1289), a Beyshehir, unitamente ai frammenti del vecchio Cairo, presentano caratteristiche di tale affinità da consentirci legittimamente di ricondurii tutti sotto lo stesso tetto, nell'ambito cioè della produzione dell'Asia Minore che in effetti copre da sola tutto l'arco del XIII secolo ed oltre. I motivi di campo, per quanto svariati, hanno la stessa matrice e la stessa sobrietà: quadrati, esagoni, ottagoni, losanghe, stelle ed altre figure geometriche di piccolo formato sono disposte su un fondo la cui beliezza cromatica risulta da accostamenti di toni leggermente diversi dello stesso colore. Le bordure ampie sono
decorate con grandi caratteri ispirati alla scrittura cufica. Sembra quasi che l'artigiano-artista, che pur non disponeva di tecniche elaborate (tenuto conto dell'annodatura non intensa nè ancora perfezionata), abbia inteso attribuire proprio alle fasce di bordura la maestà dell'opera. Ebbene, tutti questi elementi sono comuni nei reperti citati.
E' costume ormai diffuso tra gli studiosi del tappeto orientale ricostruirne la storia, per il periodo che va fino alla metà del XVI secolo circa, con l'aiuto anche di affreschi e dipinti d'epoca. Specialmente in opere pittoriche ritroviamo, infatti, piu o meno fedelmente riprodotti, alcuni tipi di tappeti che ci consentono, con notevole approssimazione, una certa classificazione in riferimento al periodo e ai contenuti, piu che ai luoghi di fatturazione.
Alla tesi prospettata, secondo la quale e l'Asia Minore, se non l'unica, certamente la dominante fonte di produzione nel XIII e XIV secolo, e di conforto anche la constatazione che i primi esemplari ritrovati in pittura sono chiaramente riproduzioni di tappeti anatolici.

E pur vero che quei pittori avrebbero potuto conoscere questi tappeti e non altri - eventualmente esistenti - per cause del tutto occasionali, magari legate a mere esigenze di mercato; ma va anche tenuto conto, a parte le considerazioni gia formulate, che di altre produzioni (ivi compresa quella persiana) non v'e traccia per tutto il periodo che va fino al disfacimento dell'impero  timuride.

Sta di fatto, comunque, che nel 1297 e un tappeto geometrico con caratteristiche anatoliche, molto vicine ai ritrovamenti di Konya, che vediamo inserito da Giotto nell'affresco che raffigura l'apparizione di San Francesco a papa Gregorio IX nella basilica superiore di Assisi. E sempre dello stesso tipo sono gli esemplari riprodotti dall'artista fiorentino nell'icona custodita nella basilica di San Pietro (il tappeto e sotto i piedi del Cristo) e nel dipinto che e nella sagrestia della stessa basilica che raffigura Gesu in trono con santi, ove il cardinale Gentileschi e genuflesso sopra un esemplare decorato con ottagoni entro i quali
appaiono aquile stilizzate (uno dei cosiddetti tappeti con "uccelli da stemma").
Simone Martini (1283-1344), in un dipinto che si trova al Museo Capodimonte, in Napoli (San Lodovico che incorona Roberto D'Angio), riproduce anch'egli, sotto il trono, un tappeto geometrico con aquile stilizzate.

Decorato con aquile stilizzate in ottagoni e anche il tappeto che Nicolo di Buonaccorso inserisce nel dipinto detto Lo sposalizio della Vergine, nel 1340, ora alla National Gallery di Londra. E Lippo Memmi, nel 1350, riporta un analogo esemolare nella Madonna col Bambino che si conserva a Berlino (Gemaldegalerie). Sono riproduzioni non calligraficamente perfette ma indicative. E' stato sostenuto che presumibilmente gli autori delle opere ora ricordate abbiano dipinto a memoria tappeti visti ma non presenti all'atto dell' esecuzione pittorica, da cui la loro non perfetta descrizione. E' un'ipotesi attendibile; ma non è da
escludere che la trasposizione non letterale, in particolare del disegno, sia dovuta a mera esigenza pittorica, al fatto cioè che quegli artisti siano stati interessati alla composizione cromatica più che al disegno. Comunque, non mancheranno in epoca successiva immagini piu precise.

Infatti, nel 1480, Domenico Ghirlandaio pone sui gradini del trono, ai piedi della Madonna con Bambino, Angeli e Santi (Galleria degli Uffizi, Firenze), un tappeto riportato con accurata descrizione. La bordura è rappresentata da una larga fascia, decorata con caratteri cufici richiamanti i descritti rinvenimenti di Konya, e diverse cornici. Un vaso con fiori copre anche parte del campo, ma non tanto da impedirne la lettura. Al centro di due grandi riquadri, incorniciati e separati da una fascia che si allarga tra i riquadri stessi, figurano due ampie decorazioni stellari. II fondo è di un nitido rosso che prevale su altri colori, quali il
nero, il bianco, il giallo, che variamente intervengono.
Dagli esempi riportati, si puo trarre il convincimento che nel periodo che dal XIII va alla prima metà del XV secolo, nel tappeto anatolico si affermano due indirizzi: l'uno caratterizzato da disegni geometrici e bordure con caratteri cufici, e l'altro che contiene
nella decorazione figure di animali .
 

 I dati sopra riportati sono stati rielaborati da Dino Yachaya per la Nasser s.r.l. 1998

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